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  • O materna mia Terra

    01/04/2019

    Che ne sai tu di un campo di grano?
    Quando ho deciso di occuparmi di ciò che mio padre mi aveva lasciato, la terra, ho preso in considerazione più possibilità; in realtà, questo territorio, ancora incontaminato, per clima e posizione geografica, offriva l’opportunità di osare… quasi tutto.
     
    Decido di partire con una coltivazione essenziale, primaria e antica: il grano. Mi piaceva l’idea di vedere ricrescere un campo di grano come quello di una volta. Scelgo il metodo “biologico” per tutte le mie coltivazioni, cioè, abolisco il chimico, ma ho difficoltà nella ricerca dei semi di “grani antichi”. Per caso, leggendo un articolo su un giornale locale, mi imbatto in Stefano, un giovane imprenditore calabrese che ha ristrutturato un vecchio mulino a pietra, da cui vuole ricavare farina di grano antico. Lo chiamo, gli espongo il mio problema e troviamo insieme la soluzione: lui mi procurerebbe il seme del “Senatore Cappelli” grano duro antico, e io dovrei restituirgli il grano prodotto che verrebbe utilizzato nel suo mulino. “Splendido” mi dico, questa è la filiera corta, economicamente parlando, ma è anche un modo per contribuire, nel piccolo, al mangiar sano. Accetto l’offerta e si stabilisce tra noi un rapporto di reciproca fiducia. Arriva il tempo programmato per la semina, i primi giorni di Dicembre, sono in possesso dei preziosi chicchi, seguirò di persona tutte le fasi della messa a dimora del grano. Il terreno destinato alla coltivazione verrà arato, passato con l’erpice e seminato da chi questo lavoro lo svolge con competenza da una vita.
     
     
    Perché il frumento possa germogliare sono necessari venti o trenta giorni. Agli inizi di Gennaio si vedono spuntare i teneri steli come fili d’erba che, gradualmente col passare del tempo, verso Marzo-Aprile, si innalzano nell’aria che si fa luminosa e più calda, con stelo robusto e slanciato che abbozza già quello che sarà il frutto prezioso: la spiga di grano. Osservavamo i cambiamenti di colore dal verde intenso al giallo della pre-maturazione. Un giorno, mio figlio, tornando dalla campagna, mi dice “mamma il grano ha cambiato colore, è scuro come bruciato”; mi viene un colpo, vado a vedere e mi rendo conto che è arrivato il tempo della maturazione, il grano è pronto per essere mietuto, era infatti Giugno inoltrato.
     
    Questo mio ritorno alla terra, è anche un tuffo nel passato, un passato ormai, antico o lontano, quando insieme al grano, nelle “masserie”, si coltivavano rapporti, non solo di buon vicinato e di reciproco rispetto, ma anche rapporti di grande solidarietà. Al tempo della mietitura a mano, quella con la falce e la successiva trebbiatura, i contadini si aiutavano gli uni con gli altri, davano una mano al vicino che a sua volta restituiva l’aiuto al bisogno, perché si comprendeva l’urgenza e la necessità di preservare quel frutto prezioso dalle possibili calamità, quali pioggia, vento o peggio, fuoco. Era la pratica di una comunità solidale che al lavoro univa momenti conviviali e di allegria. La mietitura, infatti, e la trebbiatura erano un po’ anche una festa, la festa del raccolto, o meglio del buon raccolto. Il ricordo di quegli anni, mi dice, anche oggi, che vivere secondo i ritmi e i valori antichi della terra, potrebbe essere una risorsa da non sottovalutare. Vivere tra i campi dà una concretezza che è terapeutica, in particolar modo per chi fa o ha fatto lavori intellettuali o stressanti.
    Pina Silvestri